Quello che questo diagramma non mostra è come Aristotele spiegava le complicate curve che i pianeti fanno nel cielo. Per preservare il principio del moto circolare perfetto, egli propose che ogni pianeta fosse mosso da più sfere annidate, con i poli di ciascuna collegati alla successiva più esterna, ma con assi di rotazione sfalsati l’uno rispetto all’altro. Sebbene Aristotele lasciasse il numero delle sfere aperto alla determinazione empirica, egli propose di aggiungere ai modelli a molte sfere degli astronomi precedenti, ottenendo un totale di 44 o 55 sfere celesti.
Elementi e sfereModifica
Aristotele divise il suo universo in “sfere terrestri” che erano “corruttibili” e dove vivevano gli esseri umani, e sfere celesti in movimento ma altrimenti immutabili.
Aristotele credeva che quattro elementi classici compongono tutto nelle sfere terrestri: terra, aria, fuoco e acqua. Egli sosteneva anche che i cieli sono fatti di un quinto elemento speciale senza peso e incorruttibile (cioè immutabile) chiamato “etere”. L’etere ha anche il nome di “quintessenza”, che significa, letteralmente, “quinto essere”.
Aristotele considerava le sostanze pesanti come il ferro e altri metalli come costituite principalmente dall’elemento terra, con una quantità minore degli altri tre elementi terrestri. Altri oggetti più leggeri, secondo lui, hanno meno terra, rispetto agli altri tre elementi nella loro composizione.
I quattro elementi classici non furono inventati da Aristotele; furono originati da Empedocle. Durante la rivoluzione scientifica, l’antica teoria degli elementi classici fu trovata errata, e fu sostituita dal concetto empiricamente testato degli elementi chimici.
Sfere celestiModifica
Secondo Aristotele, il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle – sono incorporati in “sfere di cristallo” perfettamente concentriche che ruotano eternamente a velocità fissa. Poiché le sfere celesti sono incapaci di qualsiasi cambiamento eccetto la rotazione, la sfera terrestre di fuoco deve spiegare il calore, la luce delle stelle e i meteoriti occasionali. La sfera più bassa, quella lunare, è l’unica sfera celeste che entra effettivamente in contatto con la mutevole materia terrestre dell’orbe sublunare, trascinando il fuoco e l’aria rarefatti sotto di essa mentre ruota. Come l’æthere di Omero (αἰθήρ) – l'”aria pura” del monte Olimpo – era la controparte divina dell’aria respirata dagli esseri mortali (άήρ, aer). Le sfere celesti sono composte dall’elemento speciale etere, eterno e immutabile, la cui unica capacità è un moto circolare uniforme ad una data velocità (rispetto al moto diurno della sfera più esterna delle stelle fisse).
Le “sfere di cristallo” concentriche, aeteriche, guancia a guancia, che portano il Sole, la Luna e le stelle si muovono eternamente con un moto circolare immutabile. Le sfere sono incastrate all’interno delle sfere per rendere conto delle “stelle erranti” (cioè i pianeti, che, in confronto al Sole, alla Luna e alle stelle, sembrano muoversi in modo erratico). Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno sono gli unici pianeti (compresi quelli minori) che erano visibili prima dell’invenzione del telescopio, motivo per cui Nettuno e Urano non sono inclusi, né alcun asteroide. Più tardi, la convinzione che tutte le sfere siano concentriche fu abbandonata a favore del modello deferente ed epiciclo di Tolomeo. Aristotele si sottopone ai calcoli degli astronomi per quanto riguarda il numero totale di sfere e vari resoconti danno un numero vicino alle cinquanta sfere. Si ipotizza un motore immobile per ogni sfera, compreso un “motore primo” per la sfera delle stelle fisse. Il motore immobile non spinge le sfere (né potrebbe, essendo immateriale e senza dimensioni) ma è la causa finale del moto delle sfere, cioè lo spiega in un modo simile alla spiegazione “l’anima è mossa dalla bellezza”.
Cambiamento terrestreModifica
A differenza dell’eterno e immutabile etere celeste, ognuno dei quattro elementi terrestri è capace di cambiare in uno dei due elementi con cui condivide una proprietà: es.Ad esempio, il freddo e umido (acqua) può trasformarsi nel caldo e umido (aria) o nel freddo e secco (terra) e ogni apparente cambiamento nel caldo e secco (fuoco) è in realtà un processo in due fasi. Queste proprietà sono predette di una sostanza attuale in relazione al lavoro che è in grado di fare; quello di riscaldare o raffreddare e di essiccare o inumidire. I quattro elementi esistono solo in relazione a questa capacità e in relazione a qualche lavoro potenziale. L’elemento celeste è eterno e immutabile, quindi solo i quattro elementi terrestri rendono conto del “venire all’essere” e del “passare” – o, nei termini del De Generatione et Corruptione di Aristotele (Περὶ γενέσεως καὶ φθορᾶς), “generazione” e “corruzione”.
Luogo naturaleModifica
La spiegazione aristotelica della gravità è che tutti i corpi si muovono verso il loro luogo naturale. Per gli elementi terra e acqua, questo luogo è il centro dell’universo (geocentrico); il luogo naturale dell’acqua è un guscio concentrico intorno alla terra, perché la terra è più pesante e affonda nell’acqua. Il luogo naturale dell’aria è allo stesso modo un guscio concentrico che circonda quello dell’acqua; le bolle salgono nell’acqua. Infine, il luogo naturale del fuoco è più alto di quello dell’aria ma sotto la sfera celeste più interna (che porta la Luna).
Nel libro Delta della sua Fisica (IV.5), Aristotele definisce il topos (luogo) in termini di due corpi, uno dei quali contiene l’altro: un “luogo” è dove la superficie interna del primo (il corpo contenente) tocca la superficie esterna dell’altro (il corpo contenuto). Questa definizione rimase dominante fino all’inizio del XVII secolo, anche se era stata messa in discussione e dibattuta dai filosofi fin dall’antichità. La critica iniziale più significativa fu fatta in termini di geometria dal polymath arabo dell’XI secolo al-Hasan Ibn al-Haytham (Alhazen) nel suo Discorso sul luogo.
Movimento naturaleModifica
Gli oggetti terrestri si alzano o si abbassano, in misura maggiore o minore, secondo il rapporto dei quattro elementi di cui sono composti. Per esempio, la terra, l’elemento più pesante, e l’acqua, cadono verso il centro del cosmo; quindi la Terra e la maggior parte dei suoi oceani, vi si saranno già fermati. All’estremo opposto, gli elementi più leggeri, l’aria e soprattutto il fuoco, si alzano e si allontanano dal centro.
Gli elementi non sono sostanze vere e proprie nella teoria aristotelica (o nel senso moderno della parola). Invece, sono astrazioni usate per spiegare le diverse nature e comportamenti dei materiali reali in termini di rapporti tra loro.
Movimento e cambiamento sono strettamente correlati nella fisica aristotelica. Il movimento, secondo Aristotele, implica un cambiamento dalla potenzialità all’attualità. Egli dà l’esempio di quattro tipi di cambiamento, cioè il cambiamento nella sostanza, nella qualità, nella quantità e nel luogo.
Aristotele propose che la velocità con cui due oggetti di forma identica affondano o cadono è direttamente proporzionale al loro peso e inversamente proporzionale alla densità del mezzo attraverso cui si muovono. Nel descrivere la loro velocità terminale, Aristotele deve stipulare che non ci sarebbe alcun limite a cui confrontare la velocità degli atomi che cadono nel vuoto, (potrebbero muoversi indefinitamente veloce perché non ci sarebbe un posto particolare per loro per fermarsi nel vuoto). Ora però si capisce che in qualsiasi momento prima di raggiungere la velocità terminale in un mezzo relativamente privo di resistenza come l’aria, due oggetti di questo tipo dovrebbero avere velocità quasi identiche perché entrambi stanno sperimentando una forza di gravità proporzionale alle loro masse e quindi stanno accelerando quasi allo stesso ritmo. Questo divenne particolarmente evidente a partire dal XVIII secolo, quando si cominciarono a fare esperimenti di vuoto parziale, ma circa duecento anni prima Galileo aveva già dimostrato che oggetti di peso diverso raggiungono il suolo in tempi simili.
Moto innaturaleModifica
Oltre alla tendenza naturale delle esalazioni terrestri a salire e degli oggetti a cadere, il moto innaturale o forzato da un lato all’altro risulta dall’urto turbolento e dallo scivolamento degli oggetti nonché dalla trasmutazione tra gli elementi (Sulla generazione e sulla corruzione).
ChanceEdit
Nella sua Fisica Aristotele esamina gli incidenti (συμβεβηκός, symbebekòs) che non hanno altra causa che il caso. “Né esiste una causa definita per un incidente, ma solo il caso (τύχη, týche), cioè una causa indefinita (ἀόριστον, aóriston)” (Metafisica V, 1025a25).
È ovvio che ci sono principi e cause generabili e distruttibili a prescindere dai processi effettivi di generazione e distruzione; perché se questo non è vero, tutto sarà di necessità: cioè, se ci deve essere necessariamente qualche causa, diversa da quella accidentale, di ciò che si genera e si distrugge. Sarà questo, o no? Sì, se ciò accade; altrimenti no (Metafisica VI, 1027a29).
Continuo e vuotoModifica
Aristotele argomenta contro gli indivisibili di Democrito (che differiscono notevolmente dall’uso storico e moderno del termine “atomo”). In quanto luogo senza nulla di esistente presso o all’interno di esso, Aristotele argomentava contro la possibilità di un vuoto o di una nullità. Poiché credeva che la velocità del moto di un oggetto sia proporzionale alla forza applicata (o, nel caso del moto naturale, al peso dell’oggetto) e inversamente proporzionale alla densità del mezzo, ragionava che gli oggetti che si muovono nel vuoto si muoverebbero indefinitamente veloci – e quindi tutti gli oggetti che circondano il vuoto lo riempirebbero immediatamente. Il vuoto, quindi, non potrebbe mai formarsi.
I “vuoti” dell’astronomia moderna (come il Vuoto Locale adiacente alla nostra galassia) hanno l’effetto opposto: alla fine, i corpi fuori centro vengono espulsi dal vuoto a causa della gravità del materiale esterno.
Quattro causeModifica
Secondo Aristotele, ci sono quattro modi per spiegare l’aitia o le cause del cambiamento. Egli scrive che “non abbiamo conoscenza di una cosa finché non abbiamo afferrato il suo perché, cioè la sua causa.”
Aristotele riteneva che ci fossero quattro tipi di cause.
MaterialeModifica
La causa materiale di una cosa è quella di cui è fatta. Per un tavolo, potrebbe essere il legno; per una statua, potrebbe essere il bronzo o il marmo.
“In un certo senso diciamo che l’aition è quella da cui. come esistente, qualcosa viene ad essere, come il bronzo per la statua, l’argento per la fiala, e i loro generi” (194b2 3-6). Con “generi”, Aristotele intende modi più generali di classificare la materia (per esempio “metallo”; “materia”); e questo diventerà importante. Un po’ più avanti, egli allarga la gamma della causa materiale per includere le lettere (delle sillabe), il fuoco e gli altri elementi (dei corpi fisici), le parti (dei corpi interi), e persino le premesse (delle conclusioni: Aristotele ribadisce questa affermazione, in termini leggermente diversi, in An. Post II. 11).
– R.J. Hankinson, “The The Theory of the Physics” in Blackwell Companion to Aristotle
FormalEdit
La causa formale di una cosa è la proprietà essenziale che la rende il tipo di cosa che è. Nella Metafisica Libro A Aristotele sottolinea che la forma è strettamente legata all’essenza e alla definizione. Dice per esempio che il rapporto 2:1, e il numero in generale, è la causa dell’ottava.
“Altro è la forma e l’esemplare: questa è la formula (logos) dell’essenza (to ti en einai), e i suoi generi, per esempio il rapporto 2:1 dell’ottava” (Phys 11.3 194b26-8)… La forma non è solo forma… Ci stiamo chiedendo (e questa è la connessione con l’essenza, in particolare nella sua formulazione canonica aristotelica) cosa sia essere una certa cosa. Ed è una caratteristica degli armonici musicali (notata per la prima volta dai pitagorici) che gli intervalli di questo tipo esibiscono effettivamente questo rapporto in qualche forma negli strumenti usati per crearli (la lunghezza dei tubi, delle corde, ecc.). In un certo senso, il rapporto spiega ciò che tutti gli intervalli hanno in comune, perché risultano uguali.
– R.J. Hankinson, “Cause” in Blackwell Companion to Aristotle
EfficientEdit
La causa efficiente di una cosa è l’ente primario attraverso il quale la sua materia ha preso forma. Per esempio, la causa efficiente di un bambino è un genitore della stessa specie e quella di un tavolo è un falegname, che conosce la forma del tavolo. Nella Fisica II, 194b29-32, Aristotele scrive: “c’è ciò che è l’originatore primario del cambiamento e della sua cessazione, come il deliberante che è responsabile e il padre del bambino, e in generale il produttore della cosa prodotta e il mutante della cosa mutata”.
Gli esempi di Aristotele qui sono istruttivi: un caso di causalità mentale e uno di causalità fisica, seguito da una caratterizzazione perfettamente generale. Ma essi nascondono (o in ogni caso non riescono a rendere evidente) una caratteristica cruciale del concetto di causalità efficiente di Aristotele, che serve a distinguerlo dalla maggior parte degli omonimi moderni. Per Aristotele, ogni processo richiede una causa efficiente costantemente operativa finché continua. Questo impegno appare più chiaramente agli occhi moderni nella discussione di Aristotele sul moto del proiettile: cosa mantiene il proiettile in movimento dopo che ha lasciato la mano? “Impeto”, “quantità di moto” e tanto meno “inerzia” non sono risposte possibili. Ci deve essere un motore, distinto (almeno in qualche senso) dalla cosa mossa, che esercita la sua capacità motrice in ogni momento del volo del proiettile (vedi Phys VIII. 10 266b29-267a11). Allo stesso modo, in ogni caso di generazione animale, c’è sempre qualche cosa responsabile della continuità di tale generazione, anche se può farlo per mezzo di qualche strumento interveniente (Phys II.3 194b35-195a3).
– R.J. Hankinson, “Causes” in Blackwell Companion to Aristotle
FinalEdit
La causa finale è ciò per cui qualcosa ha luogo, il suo scopo o fine teleologico: per un seme che germina, è la pianta adulta, per una palla in cima a una rampa, è fermarsi in fondo, per un occhio, è vedere, per un coltello, è tagliare.
Gli obiettivi hanno una funzione esplicativa: questo è un luogo comune, almeno nel contesto delle descrizioni di azioni. Meno banale è l’opinione sostenuta da Aristotele, secondo cui finalità e scopi si trovano in tutta la natura, che è per lui il regno di quelle cose che contengono in sé principi di movimento e di riposo (cioè cause efficienti); così ha senso attribuire scopi non solo alle cose naturali stesse, ma anche alle loro parti: le parti di un tutto naturale esistono per il bene del tutto. Come nota lo stesso Aristotele, le locuzioni “per il bene di” sono ambigue: “A è per il bene di B” può significare che A esiste o è intrapreso per realizzare B; oppure può significare che A è per il beneficio di B (An II.4 415b2-3, 20-1); ma entrambi i tipi di finalità hanno, secondo lui, un ruolo cruciale da svolgere nei contesti naturali, così come in quelli deliberativi. Così un uomo può esercitare per il bene della sua salute: e così la “salute”, e non solo la speranza di ottenerla, è la causa della sua azione (questa distinzione non è banale). Ma le palpebre sono per il bene dell’occhio (per proteggerlo: PA II.1 3) e l’occhio per il bene dell’animale nel suo complesso (per aiutarlo a funzionare correttamente: cfr. An II.7).
– R.J. Hankinson, “Causes” in Blackwell Companion to Aristotle
BiologyEdit
Secondo Aristotele, la scienza degli esseri viventi procede raccogliendo osservazioni su ogni tipo naturale di animale, organizzandole in generi e specie (le differentiae in Storia degli animali) e poi passando a studiarne le cause (in Parti di animali e Generazione di animali, le sue tre principali opere biologiche).
Le quattro cause della generazione animale possono essere riassunte come segue. La madre e il padre rappresentano rispettivamente la causa materiale e quella efficiente. La madre fornisce la materia da cui si forma l’embrione, mentre il padre fornisce l’ente che informa quella materia e innesca il suo sviluppo. La causa formale è la definizione dell’essere sostanziale dell’animale (GA I.1 715a4: ho logos tês ousias). La causa finale è la forma adulta, che è il fine per il quale avviene lo sviluppo.
– Devin M. Henry, “Generation of Animals” in Blackwell Companion to Aristotle
Organismo e meccanismoModifica
I quattro elementi costituiscono i materiali uniformi come il sangue, la carne e le ossa, che sono essi stessi la materia da cui vengono creati gli organi non uniformi del corpo (ad esempio il cuore, il fegato e le mani) “che a loro volta, come parti, sono materia per il funzionamento del corpo nel suo complesso (PA II. 1 646a 13-24)”.
c’è una certa evidente economia concettuale nella visione che nei processi naturali le cose costituite naturalmente cercano semplicemente di realizzare in piena attualità le potenzialità in esse contenute (anzi, questo è ciò che è per loro essere naturali); d’altra parte, come i detrattori dell’aristotelismo dal XVII secolo in poi non hanno tardato a far notare, questa economia è vinta a spese di qualsiasi serio contenuto empirico. Il meccanicismo, almeno come praticato dai contemporanei e predecessori di Aristotele, può essere stato spiegativamente inadeguato – ma almeno era un tentativo di un resoconto generale dato in termini riduttivi delle connessioni simili alle leggi tra le cose. La semplice introduzione di quelle che i riduzionisti successivi avrebbero deriso come “qualità occulte” non spiega – semplicemente, alla maniera della famosa battuta satirica di Molière, serve a ridescrivere l’effetto. Il discorso formale, o così si dice, è vacuo.
Le cose non sono però così tristi. Per prima cosa, non ha senso cercare di impegnarsi in una scienza riduzionista se non si hanno i mezzi, empirici e concettuali, per farlo con successo: la scienza non dovrebbe essere semplicemente una metafisica speculativa non dimostrata. Ma più di questo, c’è uno scopo nel descrivere il mondo in termini così teleologicamente carichi: dà un senso alle cose in un modo che le speculazioni atomiste non fanno. Inoltre, il discorso di Aristotele sulle specie-forma non è così vuoto come insinuano i suoi avversari. Non dice semplicemente che le cose fanno quello che fanno perché questo è il genere di cose che fanno: l’intero punto della sua biologia classificatoria, esemplificato più chiaramente in PA, è quello di mostrare quali tipi di funzione vanno con cosa, quali presuppongono quali e quali sono subordinati a quali. E in questo senso, la biologia formale o funzionale è suscettibile di un tipo di riduzionismo. Cominciamo, ci dice, con i generi animali di base che tutti noi pre-teoricamente (anche se non indefettibilmente) riconosciamo (cfr. PA I.4): ma poi andiamo a mostrare come le loro parti si relazionano le une con le altre: perché, per esempio, solo le creature sanguigne hanno i polmoni, e come certe strutture in una specie sono analoghe o omologhe a quelle di un’altra (come le squame nei pesci, le piume negli uccelli, i peli nei mammiferi). E le risposte, per Aristotele, si trovano nell’economia delle funzioni, e come tutte contribuiscono al benessere generale (la causa finale in questo senso) dell’animale.– R.J. Hankinson, “The Relations between the Causes” in Blackwell Companion to Aristotle
Vedi anche Organic form.
PsicologiaEdit
Secondo Aristotele, la percezione e il pensiero sono simili, anche se non esattamente uguali, in quanto la percezione riguarda solo gli oggetti esterni che stanno agendo sui nostri organi di senso in un dato momento, mentre possiamo pensare a qualsiasi cosa scegliamo. Il pensiero riguarda le forme universali, nella misura in cui sono state comprese con successo, sulla base della nostra memoria di aver incontrato direttamente istanze di quelle forme.
La teoria della cognizione di Aristotele poggia su due pilastri centrali: il suo racconto della percezione e quello del pensiero. Insieme, essi costituiscono una parte significativa dei suoi scritti psicologici, e la sua discussione degli altri stati mentali dipende criticamente da essi. Queste due attività, inoltre, sono concepite in modo analogo, almeno per quanto riguarda le loro forme più elementari. Ogni attività è innescata dal suo oggetto – ognuna, cioè, riguarda la cosa stessa che la fa nascere. Questo semplice conto causale spiega l’affidabilità della cognizione: la percezione e il pensiero sono, in effetti, trasduttori, che portano informazioni sul mondo nei nostri sistemi cognitivi, perché, almeno nelle loro forme più elementari, riguardano infallibilmente le cause che li portano (An III.4 429a13-18). Altri stati mentali più complessi sono tutt’altro che infallibili. Ma sono ancora legati al mondo, nella misura in cui riposano sul contatto univoco e diretto che la percezione e il pensiero hanno con i loro oggetti.
– Victor Caston, “Phantasia and Thought” in Blackwell Companion To Aristotle