Nazione: Americano. Nato: Concord, California, 9 luglio 1956. Istruzione: Ha frequentato la California State University, Sacramento. Famiglia: Sposato 1) Samantha Lewes, 1978 (divorziato 1985), due figli; 2) l’attrice Rita Wilson, 1988, figli: Chester, Truman Theodore. Carriera: Stagista con il Great Lakes Shakespeare Festival, Cleveland, Ohio, e attore con la Riverside Shakespeare Company, New York City; debutto cinematografico nel 1980 in He Knows You’re Alone; il lavoro televisivo include Bosom Buddies, 1980-82, Happy Days, 1982, e Family Ties, 1983-84. Premi: Best Actor Award, Los Angeles Film Critics, per Big e Punchline, 1988; Best Actor Academy Awards, per Philadelphia, 1993, e Forrest Gump, 1994. Agente: c/o Creative Artists Agency, 9830 Wilshire Blvd, Beverly Hills, CA 90212, U.S.A.
Film come attore:
1980
He Knows You’re Alone (Mastrioianni) (come Elliot)
1982
Mazes and Monsters (Stern-for TV)
1984
Splash (Ron Howard) (come Allan Bauer); Bachelor Party (Israele) (come Rick Gasko); The Dollmaker (Petrie-per TV)
1985
L’uomo con una scarpa rossa (Dragoti) (come Richard); Volontari (Meyer) (come Lawrence Bourne III)
1986
The Money Pit (Benjamin) (come Walter Fielding); Niente in comune (Garry Marshall) (as David Basner); Everytime We Say Goodbye (Mizrahi) (as David)
1987
Dragnet (Mankiewicz) (as Pep Streebek)
1988
Big (Penny Marshall) (as Josh Baskin); Punchline (Seltzer) (come Steven Gold)
1989
The ‘Burbs (Dante) (come Ray Peterson); Turner and Hooch (Spottiswoode) (come Scott Turner)
1990
The Bonfire of the Vanities (De Palma) (come Sherman McCoy); Joe contro il vulcano (Shanley) (come Joe Banks)
1992
Radio Flyer (Donner) (come narratore); A League of Their Own (Penny Marshall) (come Jimmy Dugan)
1993
Sleepless in Seattle (Ephron) (come Sam Baldwin); Philadelphia (Jonathan Demme) (nel ruolo di Andrew Beckett)
1994
Forrest Gump (Zemeckis) (ruolo principale)
1995
Apollo 13 (Ron Howard) (nel ruolo di Jim Lovell); Toy Story (Lasseter) (voce di Woody); The Celluoid Closet (Epstein e Friedman-doc) (come intervistato)
1997
I Am Your Child (doc) (Reiner-per TV)
1998
Dalla Terra alla Luna (Carson, Field-mini) (come Jean-Luc Despont); Saving Private Ryan (Spielberg) (come capitano John Miller); You’ve Got Mail (Ephron) (come Joe Fox III)
1999
Toy Story 2 (Brannon, Lasseter) (come voce di Woody); Il miglio verde (Darabont) (come Paul Edgecomb)
Film come regista:
1989
Tales from the Crypt
1993
A League of Their Own: “The Monkey’s Curse” (per la TV); Fallen Angels: “I’ll Be Waiting” (per TV)
1996
That Thing You Do (+ ro, sc)
1998
From the Earth to the Moon, Part 1 (per TV + pr +sc sulle parti 6,7,11,12)
Pubblicazioni
Di HANKS: articoli-
Intervista, in Films (Londra), luglio 1984.
Intervista, in Photoplay (Londra), settembre 1984.
Intervista, in Time Out (Londra), 26 ottobre 1988.
Intervista a Beverly Walker, in Film Comment (New York), marzo/aprile 1989.
“An Interview with Geena Davis,” in Interview (New York), marzo 1992.
Intervista a Brendan Lemon, in Interview (New York), dicembre 1993.
“A Philadelphia Story”, intervista con Brad Gooch, in Advocate, 14 dicembre 1993.
“Peaking Tom”, intervista con Brian D. Johnson, in Maclean’s (Toronto), 11 luglio 1994.
“I Wonder, How Did This Happen To Me?” intervista con Andrew Duncan, in Radio Times (Londra), 16 settembre 1995.
“What on Earth Do I Do Next?” intervista con Jane E. Dickson, in Radio Times (Londra), 1 febbraio 1997.
“Hanks for the Memories”, intervista con Trevor Johnston, in Time Out (Londra), 22 gennaio 1997.
Su HANKS: libri-
Trakin, Roy, Tom Hanks: Journey to Stardom, 1987; rev. ed.1995.
Salamon, Julie, The Devil’s Candy: “The Bonfire of the Vanities” Goes to Hollywood, Boston, 1991.
Wallner, Rosemary, Tom Hanks: Academy Award-Winning Actor, Edina, Minnesota, 1994.
Pfeiffer, Lee, The Films of Tom Hanks, Secaucus, New Jersey, 1996.
Quinlan, David, Tom Hanks: a Career in Orbit, B. T. Batsford Limited, 1998.
McAvoy, Jim, Tom Hanks, Broomall, 1999.
Su HANKS: articoli-
Current Biography 1989, New York, 1989.
Troy, C, “It’s a Cool Gig”, in American Film (Hollywood), aprile 1990.
DeNicolo, David, “Right behind Mr. Nice Guy Lurks an Edgy Tom Hanks”, in New York Times, 20 giugno 1993.
Conant, Jennet, “Tom Hanks Wipes That Grin off His Face”, in Esquire (New York), dicembre 1993.
Andrew, Geoff & Floyd, Nigel, “No Hanky Panky: The ‘Philadelphia’ Story/Straight Acting,” in Time Out (Londra), 23 febbraio 1994.
Ebert, Roger, “Thanks, Hanks,” in Playboy (Chicago), dicembre 1994.
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È un cliché della stampa-agenzia che i comici sono sempre alla ricerca di un “tratto”, cercando di ridefinirsi come attori seri. Molto più rara è la notevole trasformazione di Tom Hanks da co-protagonista di sitcom televisive di moderato successo a uno degli attori più amati d’America, pari solo a Spencer Tracy nel vincere due Oscar consecutivi come miglior attore. Avendo saldamente stabilito il proprio personaggio comico, Hanks è passato a ruoli che sembravano giocare deliberatamente contro il suo tipo, o lo usavano come sottotesto, mentre in certi ruoli recenti, in particolare la sua gentile guardia carceraria di campagna in Il miglio verde, sembra averlo abbandonato del tutto. Meno un comico con capacità recitative che un attore con una sensibilità ironica che si presta a ruoli comici, Hanks è riuscito meglio di qualsiasi altro attore comico della sua generazione a passare a ruoli drammatici.
Ripensando a Splash del 1984, che diede al giovane attore il suo primo ruolo da protagonista e l’immediata celebrità, si scopre che non dà una performance da “apprendista”, che offre semplici scorci del suo futuro personaggio sullo schermo, ma piuttosto una performance da Tom Hanks in piena regola. È già in evidenza la combinazione distintiva di timidezza e una fredda saccenza. Fa pieno uso della sua faccia da ragazzo un po’ paffuto, con il suo sorriso storto e impacciato; in particolare ha imparato una grande varietà di reazioni facciali al comportamento bizzarro o odioso degli altri (i piani oltraggiosi di un fratello, la maleducazione di uno scienziato, una sirena che mangia un’aragosta, con il guscio e tutto), come se fosse impegnato in un dialogo interiore con se stesso. Nella scena in cui la sirena rifiuta la proposta di matrimonio del giovane, si intravede anche la rabbia petulante e sarcastica che mostrerà in modo più evidente nei ruoli drammatici di Nothing in Common e Punchline. Spesso è più divertente quando il suo personaggio è più infelice, come nella scena del matrimonio, dove le domande degli invitati sulla sua fidanzata assente (che lo ha appena rifiutato) provocano reazioni sempre più esasperate.
Splash stabilisce anche una situazione preferita per una commedia di Tom Hanks: una persona relativamente normale e ragionevolmente sofisticata che reagisce con sorprendente poca isteria alle situazioni più assurde: qui una sirena, più tardi una casa che crolla, vicini inquietanti, un cane insopportabile, un sacrificio umano a un vulcano, o le vicissitudini dei Corpi di Pace. Con la speciale eccezione di Big, le commedie leggere non sviluppano il personaggio di Hanks tanto quanto lo riprendono; in effetti, offrono solo un pallido riflesso dell’originale quando la scrittura e la regia sono deboli, come in The ‘Burbs.
L’aspetto infantile di Hanks e, a volte, l’aria di malizia lo rendono adatto a ruoli in cui un giovane immaturo, non tanto immaturo quanto incurante o autocentrato, deve crescere. In Volunteers l’eroe involontario dei Corpi di Pace deve (per quanto in modo superficiale) crescere; in Nothing in Common un dirigente pubblicitario autodefinitosi “infantile ed egoista” non è ancora diventato un “adulto in buona fede” perché il suo allontanamento dai genitori lo ha lasciato emotivamente arrestato; e in Punchline, un aspirante comico è (di nuovo) allontanato da suo padre e capace solo di una cotta edipica per una donna più grande. Anche in Sleepless in Seattle, dove l’anziano Hanks è un vedovo con un figlio piccolo e nessuna delle sue imprudenze, il ruolo gli chiede di rigiocare quei giorni ansiosi da ragazzo in cui deve imparare di nuovo le “regole” per uscire con qualcuno.
La questione della maturità è trattata in modo più interessante in Big, che critica il fascino perenne dell’uomo-bambino americano per le donne americane e per il pubblico dei film popolari (mentre capitalizza quel fascino allo stesso tempo). Per ritrarre un tredicenne nel corpo di un uomo, Hanks deve eliminare del tutto il lato alla moda del suo personaggio, ma una quantità sorprendente del modo di essere di Hanks rimane: la timidezza, la diffidenza, i momenti di esuberanza e giocosità. Forse la dimensione veramente nuova in questo ruolo è l’occasionale momento di nuda vulnerabilità, in particolare nella commovente scena della prima notte dell’uomo-bambino in un sinistro hotel.
Rilasciato lo stesso anno di Big, Punchline presenta una delle performance drammatiche più complesse di Hanks. Qui, oltre a gestire con successo diverse scene virtuose, come il crollo emotivo sul palco e il numero comico-patetico di “Singin’ in the Rain”, Hanks è in grado di rendere coerente, scena dopo scena, un personaggio estremamente mercuriale, senza dimenticare di creare una certa simpatia per un egoista spesso maleducato. Della sua performance come avvocato gay malato di AIDS nel didascalico Philadelphia, i cinici potrebbero sostenere che gran parte del suo declino fisico è realizzato con il trucco, e che gran parte della potenza del suo monologo “Maria Callas”, praticamente un’aria in sé, deriva dalla voce della diva stessa e dall’illuminazione quasi espressionistica del regista e dalle alte angolazioni della telecamera. Ma certamente all’attore va riconosciuto il merito di aver trasmesso i momenti di terrore travolgente del personaggio, la determinazione a ottenere giustizia, l’amarezza sardonica e, con un tocco del sorriso da ragazzo di Hanks nella scena sul banco dei testimoni, un amore idealistico per la legge. Dei suoi altri ruoli drammatici pre-Gump, solo in The Bonfire of the Vanities, sfoggiando valorosamente un accento upper-crust ma sabotato da una sceneggiatura mal concepita (e incidentalmente dal suo stesso aspetto non patrizio), Hanks non riesce a creare un personaggio coerente, anche se almeno riesce a fare una splendida dimostrazione di indignazione nella scena in cui scaccia gli ospiti della festa.
Per quanto riguarda la sua incarnazione del “sempliciotto” Forrest Gump, deve bastare dire che dietro il cipiglio gotico-americano e la pronuncia quasi monotona, Hanks trova una gamma straordinariamente sottile di toni di voce e di sguardi per suggerire una vita interiore per un personaggio di fantasia – che è già “vecchio” nella sofferenza ma mai schiacciato dal dolore, un Vecchio Marinaio con una storia da raccontare all’America ma nessuna colpa da espiare. Il peso dietro ogni reiterazione di “Questo è tutto quello che ho da dire su questo”; il minimo accenno di disapprovazione consapevole nei riferimenti a Richard Nixon; le rare esplosioni di gioia nelle riunioni con il tenente Dan: questi e innumerevoli altri dettagli aggiungono sfumature a quella che avrebbe potuto essere una figura rigidamente allegorica.
E’ indicativo dello status post-Gump di Hanks come icona americana che la sua decente e solida interpretazione di un decente e solido astronauta in Apollo 13 sia stata ampiamente pubblicizzata come meritevole di un altro Oscar, e che abbia ricevuto una nomination per quello che potrebbe essere definito uno studio sulla decenza eroica, in Salvate il soldato Ryan. È istruttivo confrontare la sua performance con quella, per esempio, di Lee Marvin in The Big Red One (1980) di Samuel Fuller, un’altra storia della Seconda Guerra Mondiale di un uomo che guida un piccolo gruppo di soldati in combattimento. Il veterano brizzolato di Marvin, ugualmente dignitoso, ma l’essenza del duro sergente, è mondi (ma in realtà solo una generazione) lontano dal capitano Miller di Hanks e degli sceneggiatori, seccamente ironico ma vicino alla rottura. Abbastanza fermo da essere plausibilmente al comando, abbastanza sensibile da scoppiare a piangere quando gli altri soldati non possono vederlo, capace di indignazione quando uno dei suoi uomini disobbedisce agli ordini di “salvare” una bambina, e anche di battute ironiche con i suoi uomini, Miller è uno dei ruoli più ricchi di Hanks. Gli permette grandi discorsi, come quando cerca di giustificare il numero di uomini che ha perso sotto il suo comando, e momenti sottili, come quando – in modi diversi, con diverse inflessioni – dice a due diversi soldati Ryan (il primo l’uomo sbagliato) che tutti i suoi fratelli sono stati persi in azione. Quando il primo Ryan si rende conto che è stato fatto un errore, e dice in lacrime: “Beh, questo significa che i miei fratelli stanno bene? La risposta di Miller, “Sì, sono sicuro che stanno bene”, è puro Hanks, senza uscire dal personaggio, nella sua ironia che rasenta il sarcasmo e il disgusto per l’intera situazione.
Gli unici ruoli complessivamente “leggeri” di Hanks nei film recenti sono stati la voce di Woody nei film di Toy Story. Naturalmente, You’ve Got Mail è una commedia romantica, ma piuttosto che riprodurre il personaggio di Sleepless in Seattle, la sua precedente uscita con Meg Ryan, è rinfrescante (secondo le parole del personaggio stesso) un arrogante, dispettoso e condiscendente “Mr. Nasty”, un imprenditore di mega librerie che gode dell’opportunità di far fallire il raffinato negozio di quartiere della Ryan. La trama richiede che la decenza di fondo del personaggio venga a galla nell’amicizia anonima via e-mail che condivide con Ryan, e che cambi idea dopo la sua iniziale indignazione per il fatto che il suo amico di penna elettronico è il suo insopportabile nemico in affari; ma fortunatamente Hanks non diventa mai saccente, e non fa mai appello alla sua vecchia dolcezza infantile, quando il suo personaggio diventa un amante che insegue. (Inoltre non ci ricorda mai James Stewart, un’altra icona americana, che interpretò il ruolo originale in The Shop Around The Corner nel 1940). Infatti, rimane un po’ moccioso anche fino alla fine.
Se gli eroi americani convincenti, santi e di basso profilo sono sempre a corto sullo schermo, si può sperare che Hanks non scelga troppi ruoli del genere. Rimane più memorabile quando si prende un rischio in parti con curiose miscele di commedia e dramma, come il suo comico in Punchline, il suo Gump, o – un vero ruolo da personaggio – il suo allenatore di baseball ubriaco in A League of Their Own.
-Joseph Milicia