1 La diversità delle spiegazioni sociologiche
In un articolo classico destinato a fornire un quadro teorico generale per la sociologia della conoscenza, R. K. Merton (1945) riassume la natura della spiegazione sociologica nel seguente modo: stabilire le correlazioni tra le credenze collettive, concepite come variabili dipendenti, e ‘gli altri fattori esistenziali della società e della cultura’ concepiti come variabili indipendenti. Se una tale formula permette di unificare molti studi sociologici dedicati alla spiegazione delle credenze collettive, questa unità rimane tuttavia puramente “formale”. La diversità delle modalità esplicative sociologiche deve essere considerata su almeno due livelli: da un lato la natura di questi “fattori esistenziali” menzionati da Merton, dall’altro la natura della “relazione” che lega questi fattori alle credenze collettive.
Alcuni esempi possono essere utili. L’ideologia costituisce un oggetto tradizionale della sociologia delle credenze collettive. Questi sistemi di credenze sociopolitiche giocano un ruolo centrale nella legittimazione dell’ordine sociale delle società moderne. La spiegazione sociologica delle ideologie consiste generalmente nel sostituirle nel singolare sistema di interazione in cui appaiono. Tuttavia, non c’è un solo modo di concepire la natura di questo sistema. La tradizione marxista, per esempio, identifica questo sistema con un complesso insieme di “interessi sociali”. Questo schema esplicativo proposto inizialmente da Marx (1852) è principalmente di natura “utilitarista”. Se un gruppo sociale crede nel valore di questa o quella organizzazione politico-sociale, non è per il suo valore intrinseco, ma perché questo preciso tipo di organizzazione rafforza direttamente o indirettamente il suo dominio sociale, e di conseguenza i suoi interessi materiali. L’utilità sociale della credenza ideologica prevale sulla sua verità o falsità.
Se questo approccio utilitarista delle credenze collettive è stato presentato da K. Mannheim (1929, 1991) come una tappa fondamentale per la nascita della sociologia della conoscenza, non è l’unica possibile. Lo studio paretiano delle credenze religiose, per esempio, poggia su una concezione molto diversa dei fattori esistenziali menzionati da Merton. Nel suo famoso Traité de sociologie générale, Pareto (1916, 1968) analizza la diffusione sociale delle religioni come conseguenza dei “sentimenti” sociali. Afferma l’importanza di separare chiaramente l’influenza rispettiva delle “derivazioni” – idee, teorie, teologie, ecc. – e dei “residui” – sentimenti profondamente radicati: “il valore sociale delle religioni”, scrive Pareto, “dipende molto poco dalle derivazioni, enormemente dai residui. In diverse religioni, c’è un gruppo significativo di residui (…) che corrispondono a sentimenti di disciplina, sottomissione, gerarchia” (§1854). In un certo senso, questo schema esplicativo sviluppato da Pareto è molto diverso da quello proposto da Marx per le ideologie: se un gruppo sociale adotta massicciamente una religione, non è per la sua ‘utilità’ sociale diretta o indiretta, ma perché essa riesce in qualche modo a soddisfare le ‘passioni’ dominanti di questo gruppo. Da un altro punto di vista, tuttavia, questi due schemi esplicativi sono abbastanza simili. Marx per le ideologie e Pareto per le religioni considerano entrambi esplicitamente che il legame tra le variabili dipendenti e indipendenti deve essere concepito come una relazione ‘causale’. L’adozione di una credenza da parte di un gruppo sociale appare in entrambi i casi come la conseguenza meccanica di “forze” – interessi o passioni – che dominano la coscienza dei suoi membri. Queste forze rimangono fuori dal controllo degli attori sociali.
Questo approccio causale è stato talvolta utilizzato per spiegare l’esistenza di credenze magiche. Lévy-Bruhl (1922, 1960) vede la persistenza delle credenze magiche nelle società tradizionali come la conseguenza meccanica di una struttura mentale specifica: la “mentalità primitiva”. Questa mentalità, suggerisce Lévy-Bruhl, impedisce ai membri di queste comunità di percepire la differenza oggettiva tra somiglianza verbale e somiglianza reale e, in modo più generale, la differenza tra le relazioni tra le parole e le relazioni tra le cose. Tuttavia, i lavori di Durkheim e Weber mostrano che questo approccio delle credenze magiche è lungi dall’essere il più fruttuoso. Nelle loro rispettive analisi delle credenze magiche, entrambi identificano il fattore ‘esistenziale’ nell’ambiente immediato degli attori sociali. Entrambi concettualizzano anche la relazione tra questo ambiente e la credenza collettiva come ‘razionale’ o più precisamente come soggettivamente razionale. Gli atti motivati dalla magia”, scrive Weber (1922, 1979), “sono atti almeno relativamente razionali (…): seguono le regole dell’esperienza anche se non sono necessariamente atti secondo i mezzi e i fini”. Lo stesso punto è sottolineato da Durkheim (1912, 1995), in particolare, quando confronta la razionalità dei ‘riti’ tradizionali e la razionalità delle ‘tecniche’ moderne: ‘i riti che usano per assicurare la fertilità del terreno (…) non sono, per lui, più irrazionali di quanto lo siano, per noi, i processi tecnici utilizzati dai nostri agronomi (…). I poteri legati a questi riti non appaiono particolarmente misteriosi. Per chi ci crede, queste forze non sono più incomprensibili di quanto lo siano la gravità o l’elettricità per un fisico contemporaneo”. La strategia esplicativa proposta da Weber e Durkheim esiste quindi principalmente per identificare il ruolo della credenza collettiva nel processo di adattamento dell’attore sociale al suo ambiente immediato, e quindi per ricostruire il ‘significato’ della credenza per questo attore.
I sociologi hanno anche prestato grande attenzione alle credenze scientifiche. Sorokin (1937), per esempio, cerca di dimostrare “che ciò che una data società considera vero o falso, scientifico o non scientifico (…) è fondamentalmente condizionato dalla natura della cultura dominante”. Egli analizza la relazione tra la ‘credibilità’ sociale delle rappresentazioni scientifiche della realtà e l’evoluzione dei valori culturali. Il fattore ‘esistenziale’ sorokiniano è diverso dai fattori precedentemente osservati nelle opere di Marx, Pareto, Weber o Durkheim: consiste principalmente in un ‘quadro culturale’ che si evolve in modo ciclico. La ‘relazione’ tra variabili dipendenti e indipendenti rimane comunque simile alla relazione teorizzata da Durkheim e Weber. I gruppi sociali, dice Sorokin, selezionano le loro credenze scientifiche secondo un principio generale di ‘dipendenza logica’ o ‘coerenza logica’. Merton (1938, 1970) condivide con Sorokin la volontà di stabilire le condizioni sociali dello sviluppo scientifico. Tuttavia, egli sottolinea la natura ‘funzionale’ della relazione che legava le scienze naturali del XVII secolo ai loro contesti storico-sociali. La conoscenza scientifica, osserva Merton, si sviluppa ovviamente sulla base di vincoli cognitivi ma questo sviluppo integra anche, in proporzioni variabili, l’influenza dei fattori sociali. L’analisi statistica applicata alle invenzioni tecnologiche mostra in particolare che un gran numero di queste invenzioni sono destinate a portare una soluzione a problemi di trasporto marittimo, di industria mineraria o di tecnologia militare. La produzione delle credenze scientifiche può essere parzialmente interpretata come un tentativo della comunità scientifica di soddisfare una domanda sociale esplicita o diffusa.