Voltaire and Enlightenment

In termini di storia delle idee, il risultato più importante di Voltaire è stato quello di aver aiutato negli anni 1730 a introdurre il pensiero di Newton e Locke in Francia (e quindi nel resto del continente). Questo risultato è, come Jonathan Israel ha recentemente dimostrato, difficilmente così radicale come a volte si è pensato: i pensatori inglesi in questione servirono essenzialmente come un baluardo deistico contro le correnti di pensiero più radicali (atee) della tradizione spinozista. Le convinzioni deiste di Voltaire, ribadite per tutta la sua vita, arrivarono ad apparire sempre più antiquate e difensive man mano che egli invecchiava e man mano che diventava sempre più esercitato dalla diffusione dell’ateismo. Il fallimento di Voltaire nel produrre una filosofia originale fu, in un certo senso, controbilanciato dalla sua deliberata coltivazione di una filosofia dell’azione; la sua crociata del ‘senso comune’ contro la superstizione e il pregiudizio e in favore della tolleranza religiosa fu il suo più grande contributo al progresso dell’Illuminismo. Rousseau scrive per il gusto di scrivere”, dichiarò in una lettera del 1767, “io scrivo per agire”

Sono stati quindi i contributi letterari e retorici di Voltaire all’Illuminismo ad essere veramente unici. Non interessato né alla musica (come Rousseau) né all’arte (come Diderot), Voltaire era fondamentalmente un uomo di linguaggio. Attraverso la forza dello stile, attraverso l’abile scelta del genere letterario e attraverso l’abile manipolazione del mercato librario, trovò i mezzi per divulgare e promulgare idee che fino ad allora erano state generalmente clandestine. La gamma dei suoi scritti è immensa e abbraccia praticamente ogni genere. In versi, scrisse in ogni forma – poesia epica, ode, satira ed epistola, e anche versi occasionali e leggeri; il suo dramma, anche scritto in versi, include sia commedie che tragedie (sebbene le tragedie non siano sopravvissute nel teatro moderno, molte vivono nell’opera, come, per esempio, Semiramide e Tancredi di Rossini).

Sono soprattutto le opere in prosa che i lettori moderni conoscono, e di nuovo gli scritti coprono un ampio spettro: storie, satire polemiche, opuscoli di tutti i tipi, dialoghi, brevi fiction o contes, e lettere sia reali che fittizie. L’assente evidente in questa lista è il romanzo, un genere che, come il dramma in prosa, Voltaire considerava vile e banale. Per capire la forza della sua antipatia per questi “nuovi” generi, dobbiamo ricordare che Voltaire era un prodotto della fine del XVII secolo, il momento del Conflitto tra Antichi e Moderni, e questo dibattito letterario continuò a influenzare le sue opinioni estetiche per tutta la sua vita. Le opinioni religiose e politiche controverse erano spesso espresse nelle forme letterarie (la tragedia classica, la satira in versi) perfezionate nel XVII secolo; il “conservatorismo” di queste forme sembra, almeno ai lettori moderni, compromettere il contenuto, sebbene questo apparente tradizionalismo possa in realtà aver aiutato Voltaire a mascherare l’originalità della sua impresa: è almeno discutibile che in un’opera come Zaïre (1732), la forma della tragedia classica abbia reso più appetibili le sue idee di tolleranza religiosa.

Ma anche questa sarebbe una semplificazione, perché nonostante il suo apparente conservatorismo letterario, Voltaire fu in realtà un riformatore incessante e uno sperimentatore di generi letterari, innovativo quasi suo malgrado, soprattutto nel campo della prosa. Sebbene non abbia mai voltato le spalle al dramma in versi e alla poesia filosofica, ha sperimentato diverse forme di scrittura storica e si è cimentato in diversi stili di narrativa in prosa. Soprattutto, sembra aver scoperto tardivamente gli usi satirici e polemici del frammento, in particolare nelle sue opere alfabetiche, il Dictionnaire philosophique portatif (1764), contenente 73 articoli nella sua prima edizione, e le Questions sur l’Encyclopédie (1770-1772). Quest’ultima opera, la cui prima edizione conteneva 423 articoli in nove volumi ottavi, è un vasto e impegnativo compendio del suo pensiero e si colloca tra i capolavori misconosciuti di Voltaire. Quando morì, Voltaire stava lavorando a quello che sarebbe stato il suo terzo dizionario “filosofico”, L’Opinion en alphabet.

Lo stile ironico, veloce e ingannevolmente semplice di Voltaire lo rende uno dei più grandi stilisti della lingua francese. Per tutta la vita, Voltaire amò recitare nelle sue commedie, e questa passione per il gioco di ruolo si estese a tutti i suoi scritti. Usò qualcosa come 175 diversi pseudonimi nel corso della sua carriera, e la sua scrittura è caratterizzata da una proliferazione di diversi personaggi e voci. Il lettore è costantemente trascinato in un dialogo – da una nota a piè di pagina che contraddice il testo, o da una voce nel testo che argomenta contro un’altra. L’uso della maschera è così incessante e la presenza di umorismo, ironia e satira così pervasiva che il lettore non ha infine idea di dove sia il “vero” Voltaire. I suoi scritti autobiografici sono pochi e del tutto non rivelatori: come suggerisce il titolo del suo Commentaire historique sur les Œuvres de l’auteur de la Henriade, sono solo i suoi scritti a costituire l’identità del loro autore.

In effetti raramente sappiamo con certezza cosa Voltaire pensasse o credesse veramente; ciò che contava per lui era l’impatto di ciò che scriveva. Le grandi crociate degli anni 1760 gli insegnarono ad apprezzare l’importanza dell’opinione pubblica, e nel divulgare le idee clandestine della prima parte del secolo svolse il ruolo del giornalista. Può essere stato all’antica nella sua nostalgia per il classicismo del secolo precedente, ma era completamente del suo tempo nella sua consumata comprensione del mezzo editoriale. Manipolava il commercio dei libri per ottenere la massima pubblicità per le sue idee, e comprendeva bene l’importanza di ciò che chiamava “il portatile”. Nel 1766, Voltaire scrisse a d’Alembert: “Venti volumi in-folio non causeranno mai una rivoluzione; sono i piccoli libri portatili a trenta sous che devono essere temuti.”

Voltaire era anche moderno nel modo in cui inventava se stesso modellando un’immagine pubblica dal suo nome di adozione. Come patriarca di Ferney, si è trasformato in un’istituzione la cui fama ha attraversato l’Europa. Come intellettuale impegnato e militante, era all’inizio di una tradizione francese che guardava a Emile Zola e a Jean-Paul Sartre, e nella moderna Francia repubblicana il suo nome è un’icona culturale, un simbolo del razionalismo e della difesa della tolleranza. Voltaire fu un uomo di paradossi: il borghese che come de Voltaire si diede pretese aristocratiche, ma che come semplice Voltaire divenne più tardi un eroe della Rivoluzione; il conservatore nelle questioni estetiche che apparve come radicale nelle questioni religiose e politiche. Fu, soprattutto, il maestro dell’ironia, che, forse più di ogni altro scrittore, diede all’Illuminismo il suo caratteristico e determinante tono di voce.

– N. E. Cronk

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